Le origini del jiu jitsu risalgono al Giappone di inizio XX secolo, come testimoniato da antichi testi giapponesi su cui sono raffigurate tecniche di jiu jitsu facilmente riconoscibili da un praticante moderno.
Il jiu jitsu era un‘arte di combattimento direttamente legata ai campi di battaglia del Giappone e comprendeva calci, pugni, leve articolari, strangolamenti, colpi agli occhi e all’inguine.
Sembra paradossale giacchè l’espressione “Jiu jitsu” si traduce come“arte gentile”.
Il senso della “gentilezza” sta nell’utilizzo della propria forza in un modo che sia efficace: piuttosto che resistere alla forza con la forza, il principio del jiu jitsu è la cedevolezza, ovvero cedere alla forza dell’avversario per poi utilizzarla contro di lui.
Insomma, l’intelligenza prevale sulla forza bruta!
Durante il periodo feudale, in Giappone sorsero diverse scuole di jiu jitsu, in quanto la società era basata principalmente sulle virtù guerriere. Quando poi sopraggiunse una modernizzazione di tipo occidentale, il jiu jitsu giapponese conobbe un vero e proprio declino.
Il primo a ridare linfa e rinnovare il jiu jitsu classico fu Jigoro Kano alla fine dell’ ‘800.
Studiando la natura del jiu jitsu egli si trovò di fronte a tre grandi problemi da superare.
- Il primo riguardava le tecniche.
Kano si accorse che il jiu jitsu dei guerrieri giapponesi prevedeva elementi troppo pericolosi, che egli rimosse dall’insegnamento e che etichettò come tattiche “sleali” (si pensi alle dita negli occhi!).
2. Il secondo, era che il jiu jitsu classico comprendeva solo un insieme di tecniche isolate, senza una strategia complessiva del combattimento.
3. Il terzo, era che l’allenamento non prevedeva lo sparring, ma solo l’insegnamento di sequenze preordinate e coreografiche di tecniche.
Di conseguenza, gli allievi non avevano un’idea realistica del combattimento.
Allora, ciò che Kano comprese è che l’efficacia di un’arte marziale non è determinata unicamente dal suo repertorio tecnico, ma anche dal metodo di allenamento che fa assimilare quelle tecniche agli allievi.
Lottare a piena potenza su un avversario che resiste in un combattimento reale è più efficace di praticare tecniche “coreografiche” su di un partner che coopera senza alcuna resistenza.
Sulla base di questa intuizione Kano aprì una sua scuola, riformando il jiu jitsu classico e appellando questa diversa arte come “judo”.
Uno dei più brillanti allievi di Kano, fu Mitsuyo Maeda.
Nei primi anni del ‘900, si trasferì in America e poi in Brasile perchè interessato a diffondere il judo anche a Occidente.
Nei suoi studi iniziò ad utilizzare tecniche che non erano ammesse nella pratica del judo ma che facevano parte del jiu jitsu classico.
Durante la sua permanenza in Brasile, Maeda conobbe Gastao Gracie, a cui figli cominciò a insegnare il jiu jitsu.
Alla base del suo insegnamento c’era l’idea di individuare i principali punti di forza e di debolezza di altre discipline così da neutralizzarne i primi e sfruttarne i secondi.
La lotta cominciava in piedi, una volta atterrato l’avversario, bisognava procedere alla sua sottomissione per portare a termine il combattimento.
Maeda diede ai Gracie il fondamentale avvio tecnico, ma furono poi questi ultimi a portare avanti la ricerca, lo studio e la diffusione del jiu jitu brasiliano creando un vero e proprio team.
Tutta la famiglia era coinvolta e l’insegnamento di questa disciplina diventò mestiere per la stessa.
Il genio dei Gracie sta nell’ aver sviluppato una strategia di combattimento globale più estesa del judo e del jiu jitsu giapponese nonchè nell’aver adottato un sistema sportivo di punteggi che riflette la strategia stessa.
Essi, seguendo gli insegnamenti di Maeda, compresero l’importanza dell’”efficacia” del combattimento rispetto alla corporatura fisica del praticante, che può essere anche esile. Questa convinzione li portò nel tempo ad affinare tutte le tecniche della disciplina.
Essi, pertanto, insegnavano l’efficacia di portare al suolo un avversario e l’esistenza di una diversa gerarchia di posizioni nella lotta una volta a terra.
Furono loro a stabilire che non importa quanto indietro ci si trovi nel punteggio durante la lotta: se si costringe l’avversario ad arrendersi si vince ribaltando la situazione.
Questo cercare continuamente di lavorare sulla gerarchia delle posizioni nella lotta a terra fino a raggiungere quella in cui si può dominare è l’elemento innovativo del sistema brasiliano che viene ripreso anche nelle moderne competizioni di MMA.
In buona sostanza, i Gracie hanno messo a punto la forma di combattimento corpo a corpo privo di armi in assoluto più efficace.
Tutte le tecniche studiate venivano e vengono sempre messe alla prova in un combattimento reale.
Il possesso di una strategia semplice ma estremamente efficace in quanto basata sul combattimento, unita a una tecnica raffinata, rende i lottatori di jiu jitsu brasiliano “efficaci” anche su avversari più grandi e robusti.
Il grande insegnamento del brazilian jiu jitsu è:
per ogni problema che si presenta esiste sempre una soluzione razionale.
Nella pratica di questo sport…e nella vita di tutti i giorni.