Alle 6:30 di mattina, Potenza è ancora un disegno in bianco e nero. Sei gradi, il buio che non se ne vuole andare. Il serpentone dei palazzoni di via Tirreno respira piano, qualche finestra si accende, la farmacia lampeggia come un cuore stanco, e i camion della spazzatura tagliano la strada con le loro sirene gialle e sfilano con un rumore che sembra il mondo che si sveglia a forza.
I gatti scappano, i cani abbaiano lontano, qualcuno bestemmia nel sonno.
Noi siamo lì. L’early morning crew. Occhi mezzi chiusi, facce che ancora trattano con la sveglia. L’aria sa di ferro e di sonno che non vuole morire. Ci muoviamo, abbozziamo un sorriso piano, proviamo a scaldarci a suon di spintoni. Davide è il primo a finire e corre a farsi la doccia — tra poco c’è scuola. Gli altri si dividono tra università, lavoro, o solo la corsa contro il tempo. E intanto, sul tatami, proviamo a staccarci i piedi l’un l’altro, come se la materassina fosse un debito da estinguere.
Quando finiamo, il buio si è arreso. Capisci subito che questo allenamento è l’unica cosa dolce di un mattino che ci dice che, da qualche parte, qualche stella è tornata in cielo.