Sto scrivendo queste righe mentre torno dal BJJ Milano Challenge, tanto so che lo finirò nei prossimi giorni… ho ancora l’odore dei tatami addosso e quella stanchezza buona che ti fa sentire vivo. La squadra del Budo Clan ha portato a casa il primo posto nella classifica Kids, guardo fuori dal finestrino e le luci cambiano forma mentre con il taxi vado in aeroporto, con Serena ed Ana Gabriela.

Avevi già posato il telefono per parlare con il tassista di una Milano difficile da vivere, e di una cena a base di pizza.
Il prossimo weekend saremo impegnati a Potenza con il maestro Dario Bacci per uno stage, poi il 21 al BJJ Roma Challenge, tutti eventi Uijj e FIJLKAM che facciamo…
E in mezzo a questo movimento continuo e frenetico, riprendo questo testo nelle mie bozze per rispondere a chi continua a chiedermi: perché la scelta di fare solo attività federale?
Il venerdì sera l’ho passato come spesso mi succede: in viaggio. La mia città non ha nemmeno un aeroporto e ormai ci ho fatto pace. Così finisce che mi ritrovo in auto, in treno, in aereo, a inseguire appuntamenti che valgono più della distanza che mi separa da loro. A Milano sono arrivato che era già buio, quella sensazione precisa che senti quando scendi e sai che sarà un weekend intenso.
Al Centro Pavesi le luci erano accese quando siamo scesi lì davanti. Abbiamo preso un autobus e poi un furgone per arrivare, e fuori il freddo pizzicava le mani. Dentro, invece, c’era già vita ovunque: chi sistemava i tatami, chi controllava la regia, chi aggiustava i tavoli come se stesse preparando una scena perfetta. La cura dei dettagli si sentiva nell’aria. Non fa rumore, ma è impossibile non percepirla. E quando manca, te ne accorgi subito.
È per questo che eventi come il BJJ Milano Challenge sono necessari. Perché qui la qualità non è un lusso, è una responsabilità. E questa è la prima risposta alla domanda che mi fanno. Nel nostro ambiente esistono sempre diverse strade: tra cui quella facile e quella giusta. La strada facile promette tanto e mantiene poco. È il falso risparmio: sembra che spendi meno, ma ti resta sicuramente di meno.
La strada giusta, invece, è fatta di tatami regolamentari da 5 cm, antiurto, con omologazione balistica; arbitri internazionali formati e competenti; VAR con due arbitri dedicati, due computer, telecamere su ogni linea; due giorni di gara per dare tempi umani a tutti; orari rispettati al minuto; servizio fotografico vero, professionale; video che raccontano il movimento; t-shirt ai primi 100 iscritti; podio e grafiche degne di un Atleta; registrazioni chiare; categorie Gi, No-Gi, Assoluti, con una quota unica che, fatta la somma, conviene davvero. Tutto questo è un investimento. Non è un costo. Ed è un atto educativo e di promozione dello Sport.

Perché quando un tecnico sceglie il “più economico” o il più semplice, se non il più conveniente, sceglie anche il messaggio che sta passando ai suoi atleti.
Che il “più o meno” può bastare.
Che il tuo lavoro può valere meno di dieci euro risparmiati.
E questo, anche senza volerlo, diseduca.
Ti abitua a guardare verso il basso invece che verso l’alto.
Ti porta ad accontentarti.
E alla fine il rischio è chiaro: avere tanti campioni e nessun atleta, di uno sport che avrà sempre difficoltà ad emergere.
Proprio a Milano un ragazzino mi ha chiesto perché non potesse usare un kimono di un altro colore.
“Cambia qualcosa?” mi ha detto.
Gli ho risposto che tecnicamente no.
Potresti giocare a calcio in canottiera, a basket con i jeans, a pallavolo con la felpa.
Si potrebbe fare lo stesso sport vestiti come si vuole.
Ma sarebbe brutto, poco serio, poco rispettoso dello sport.
Fare le cose senza cura ti entra nelle ossa e non se ne va.
Gli ho spiegato che rendiamo importante questo sport rendendo importanti i dettagli.
E se tu sembri importante, lo sport sembra importante.
Ha annuito lentamente, come chi capisce una cosa che non dimenticherà più.
“Quindi è per rispetto dello sport?” mi ha chiesto.
Esatto.
E anche degli atleti.
La mediocrità è il vero nemico dello sport.
Non le sconfitte, non la fatica, non gli errori arbitrali.
La mediocrità, quella sì che uccide lo sport lentamente.
Gli toglie valore, gli toglie serietà, gli toglie il futuro.
Questo orienta la mia scelta.
È un atto morale.
È dire: noi vogliamo costruire, educare, crescere.
Noi scegliamo la qualità: non costa di più, vale di più.
Perché è l’unico modo per non rovinare quello che amiamo.
Adesso, a casa, aspettiamo il maestro Bacci.
E poi Roma.
La strada continua, e finché ci sarà qualcuno che lotta contro la mediocrità, questo sport avrà sempre un futuro.

