Lo scorso weekend non è stato soltanto un passaggio di stagione, ma un respiro trattenuto che finalmente si è sciolto.
Al Serpentone di Potenza, la nuova sede dell’Accademia delle Arti Marziali e Sport da Combattimento ha aperto gli occhi per la prima volta.
Muri dipinti di bianco.
Due tatami stesi.
E un unico sorriso — quello di un team che non si accontenta, che non guarda mai solo al presente, ma a tutto ciò che ancora deve diventare.

Non mi aspettavo, sinceramente, le centinaia di amici che sono venuti a trovarci, a festeggiare, a condividere un momento che è andato oltre l’inaugurazione: è stato come sentirsi parte di un abbraccio collettivo, un filo invisibile che ha unito passato e futuro, fatica e gratitudine.
Da un lato, una serranda che si solleva piano, con la lentezza dei gesti antichi del signor Vito, baffi doppi e sguardo di chi ascolta le saracinesche come se parlassero.
C’è poesia anche nei suoi movimenti: lui le riconosce, le sente vivere, come se in ogni cigolio risuonasse la voce delle cose che tornano al mondo. E non ha alcuna fretta di finire il lavoro di “motorizzarle”…ma noi si…accidenti.
Dall’altro lato, a Bari, sul tatami della Adriatico Cup — gara valevole per il ranking FIJLKAM e UIJJ — i nostri atleti intrecciano destini, emozioni e chilometri in un unico respiro condiviso.

Perché ogni accademia non nasce davvero una sola volta, ma rinasce ogni volta che i suoi atleti si stringono la mano, si salutano, si scambiano una pacca sulla spalla prima o dopo una battaglia.
È questa la vera metafora della nostra inaugurazione: non un punto di arrivo, ma un modo per dire che ogni nuovo anno sportivo è un inizio che sa di rinascita.
Le pareti appena imbiancate custodiscono la stessa emozione che vibra nei palazzetti, quando la voce dell’arbitro scandisce l’inizio di un incontro e il silenzio si fa tensione pura.


Eppure, c’è una verità che pochi conoscono.
Molti vedono dove sei arrivato, ma non vedono cosa sei stato disposto a fare per arrivarci.
Vedono i trofei che rappresentano le vittorie, ma non sanno quante sconfitte li precedono.
Per ogni progetto andato a buon fine, ce ne sono stati altri che sono crollati prima di nascere.
Per ogni vittoria, ho perso molto di più — e non solo inutili medaglie.
Ho perso tempo, sonno, certezze, persone e a volte anche la fiducia.
Ma ho imparato che la perdita non è una sconfitta: è un prezzo.
È la moneta invisibile con cui si pagano i sogni veri.

Sul tatami della Adriatico Cup, a Bari, i nostri ragazzi del Team Budo Clan — Antonio Scavone, Domenico Luongo, Gerardo Salvato, Davide Mecca, Monica Grippo e Saverio Lacretosa — hanno scritto la prima pagina di questo nuovo capitolo.
Una pagina fatta di coraggio, tecnica e cuore.
E i risultati parlano da soli:
🥇 Antonio Scavone, oro e argento No-Gi.
🥇 Domenico Luongo, oro nel Gi e argento nel No-Gi.
🥇🥇 Gerardo Salvato, doppio oro.
Un bottino di quattro ori complessivi, ma soprattutto un patrimonio di emozioni che non si misura con le medaglie.

Mentre le luci del palazzetto di Bari si spegnevano e i riflessi dei kimono si facevano più opachi, a Potenza il bianco delle pareti restava acceso come un simbolo.
Perché ogni muro appena dipinto, ogni tatami posato, ogni atleta che si inchina prima di combattere — tutto questo è parte di un unico gesto:
ricominciare, ancora una volta, ed ogni volta, insieme.

Bravo e complimenti. Sinceramente mi sono dimenticato di venire all’inaugurazione ma avremo modo di “incontrarci” sicuramente. In bocca al lupo per tutto