Oggi Simone è rientrato dagli Emirati Arabi.
C’è una cosa che ho pensato spesso, vedendo Simone, in mezzo ai campioni del mondo, dentro un’arena che ti mozza il fiato: me lo ricordo bambino.
Il bambino che sorrideva e sghignazzava con Luca, con Viola, con Ludovica e con gli altri ragazzi.
La risata breve, quella di chi non si prende troppo sul serio, ma neanche scherza troppo e capisce al volo quando è il momento di fare ciò che va fatto.
Simone è sempre stato così:
gli dicevi qualcosa, e lui lo faceva.
Gli davi un compito, e lo portava a termine.
Gli chiedevi di allenarsi, e lui si allenava.
Gli arrivava una sconfitta, e invece di farsi trascinare giù, la metteva dove doveva stare: nel viaggio, non nella testa.
Ma non è stato un processo semplice.
Perché tutti vedono il risultato, nessuno vede il dietro.
E il dietro, per lui, è fatto di giorni in cui non voleva mollare per lo sport, ma rischiava di inciampare per per la pressione, per quel rumore interno che solo gli atleti veri conoscono.
Quello che non racconti a nessuno, perché non si deve vedere.
A un certo punto ho capito che questo sport, per entrare nella tua vita senza distruggerla, lo devi mettere nella posizione giusta.
Non lo devi odiare.
Non lo devi subire.
Non gli devi chiedere di salvarsi.
Lo devi guardare negli occhi e dire: «Tu sei parte della mia vita, non devi essere l’unica cosa della mia vita».
E Simone questo lo ha capito.
Lo ha capito soprattutto nell’anno in cui ha deciso di non gareggiare.
Anno difficile.
Anno sospeso.
Anno di domande.
Io l’ho lasciato un po’ libero, come si fa con i cavalli di razza: li devi lasciar correre, anche fuori dal recinto, per vedere se ritrovano da soli il passo.
Io ero lì, a cercare di guidarlo, a briglie sciolte, ma sapendo che certe cose le devi attraversare sulla tua pelle.
E infatti a un certo punto si è “sciolto”.
Ha ritrovato la sua strada.
La sua voce.
Il suo ritmo.
E poi siamo arrivati qui.
Ai Mondiali.
Ai combattimenti veri, quelli che non si dimenticano mai.
Il match con l’Iracheno: intenso, da subito, di quelli che ti fanno capire se hai davvero voglia di stare in questo sport.
Poi il Messico, una battaglia che ci siamo presi metro per metro.
E poi l’ultimo match, ad Abu Dhabi, colpo su colpo, scambio dopo scambio, senza indietreggiare neanche un millimetro, contro il Campione del Regno Unito, e del Mondo, da adesso.
Sono momenti che ti restano addosso.
Sono passaggi emotivi, tecnici, umani.
Sono quella materia viva che prende un bambino che rideva in palestra e lo trasforma, a distanza di anni, in un atleta che combatte davanti al mondo intero senza tremare.
Bravo Simone siamo tutti orgogliosi di te e del tuo quinto Posto al Mondiale Wako.
