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Le Arti Marziali per esprimere sé stessi


Fare arti marziali significa, prima di tutto, esprimere se stessi.
Come ogni forma d’arte, nasce da un bisogno profondo di dare voce a ciò che non può essere detto con le parole.
Il linguaggio umano non è nato soltanto per descrivere il mondo, ma per trasformarlo: è stato il mezzo con cui l’uomo ha imparato a dare forma ai propri pensieri.
Le neuroscienze contemporanee ci ricordano che il linguaggio non è un semplice strumento di comunicazione, ma un modo di organizzare la mente: le parole non descrivono solo ciò che pensiamo, creano ciò che pensiamo.

E come le parole, anche i movimenti del corpo sono un linguaggio.
Ogni gesto, ogni tecnica, ogni respiro in allenamento è una frase che pronunciamo senza voce.
Nel fluire di uno sparring, nella tensione e nella armonia del confronto fisico consapevole, esprimiamo ciò che siamo, non ciò che vogliamo apparire.

L’artista e il pazzo — si dice che Nietzsche avesse scritto — vivono lo stesso caos, ma l’artista ne fa armonia.
Possiamo evocare quella famosa frase, spesso attribuita a lui: “One must still have chaos in oneself to give birth to a dancing star” — ossia, “Bisogna avere ancora in sé un caos per dar luce a una stella danzante” (anche se non è chiaro se Nietzsche la formulò cosí, resta una citazione fortemente evocativa).
Così anche il praticante di arti marziali smembra la realtà attraverso il gesto, la lotta, il contatto — non per frantumarsi, ma per ritrovarsi.
Nel ritmo dello sparring, nelle cadute e nei contrasti, nella tensione del corpo contro corpo, ognuno cerca (non “scopre”) il proprio equilibrio interiore.

Le scienze moderne mostrano che l’allenamento fisico disciplinato modifica la mente: sviluppa la concentrazione, regola le emozioni, potenzia la resilienza.
E l’antropologia ci ricorda che, fin dalle origini, l’uomo ha danzato, combattuto, respirato con gli altri per dare senso alla vita.
Il gesto marziale nasce da quel medesimo impulso: non per distruggere, ma per ordinare il caos, per ritrovare se stessi nel mondo che cambia.

Per questo non si pratica uno sport marziale per rabbia o per vendetta.
Non siamo supereroi e non abbiamo nemici da distruggere.
Le arti marziali non servono per vincere sugli altri, ma per conquistare se stessi.
Ogni allenamento è un tempo sospeso in cui corpo e mente rinascono.
È lì che apprendiamo la pazienza, la concentrazione, la forza di perseverare quando i risultati tardano.

Un maestro non giudica: accompagna.
Non valuta solo la tecnica, ma osserva il percorso, il coraggio, la crescita invisibile.
Ogni volta che resisti, che non ti arrendi, che provi ancora — anche se non sei soddisfatto — hai già fatto più strada di quella che pensi.

Allenarsi non significa memorizzare gesti: significa costruire se stessi attraverso di essi.
Ogni tecnica è un seme che richiede tempo, dedizione e cura.
Ogni caduta è una lezione.
Ogni passo avanti, anche piccolo, è un atto di bellezza.

Oggi vedo quella bellezza negli occhi di chi entra in palestra, si allena, scopre che la propria energia è trasformabile in disciplina, armonia, arte.
Sono felice — anzi, orgoglioso — che in questo primo mese di attività la nostra Accademia abbia già accolto numerosi appassionati.
Con emozione posso dichiarare Sold Out le prime tre classi.

Non è solo un traguardo numerico: è la prova che sempre più persone sentono il bisogno di ritrovarsi, di conoscersi, di crescere attraverso la pratica.
E se le arti marziali sono un linguaggio, allora insieme stiamo imparando a parlare la lingua più antica e sincera: quella dell’uomo che si trasforma, un gesto alla volta.

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